MORS tua, vita mea. È quello che devono aver pensato sabato scorso Nikolai e Pavel Durov, i fondatori di Telegram (ma soprattutto del social network russo Vkontakte), quando la strapagata WhatsApp si è bloccata per diverse ore. D’altronde l’acquisizione dell’app di messaggistica statunitense, leader del settore, da parte di Facebook non è andata giù a milioni di utenti, turbati fondamentalmente da questioni di privacy. Un flusso sempre più massiccio di persone ha quindi dato il via all’usuale trasloco di applicazione, tipico di questi casi. A dire il vero, anche WhatsApp, nonostante l’incidente ai server del fine settimana, sostiene di aver guadagnato un’ulteriore quindicina di milioni di utenti in pochi giorni. Lo ha detto ieri il cofondatore Jan Koum al Mobile World Congress di Barcellona mentre annunciava l’introduzione delle telefonate dalla prossima primavera. Rimane il fatto che Telegram, la nuova app di messaggistica supersicura che sta esplodendo in queste ore, afferma di aver raccolto domenica scorsa, cioè nelle 24 ore successive al blocco della più celebre app, quasi 5 milioni di nuovi utenti. Un boom soprattutto europeo che ha provocato a sua volta un sovraccarico ai server, un black-out di un paio d’ore e la presenza fissa nelle classifiche dei servizi più scaricati in decine di mercati. 

Alle sigle cui siamo abituati  –  WhatsApp, Line, Viber, WeChat, Skype  –  c’è dunque da aggiungere anche Telegram, che allo scorso ottobre vantava appena 100mila utenti attivi su base quotidiana. Un salto incredibile frutto di un insieme di fattori, alcuni casuali, ma anche dell’offerta particolare. L’app è infatti blindata: i messaggi sono criptati e possono essere programmati, un po’ come su Snapchat, in modo che si autodistruggano dopo un certo  lasso di tempo dalla lettura. Roba per far chiacchierare Edward Snowden e Julian Assange fra Londra e la Russia. Non finisce qui. I server dell’app sono distribuiti nel mondo: questo significa più velocità, quindi tempi di consegna dei messaggi minimi, e massima sicurezza. Non bastassero queste rassicurazioni sotto il profilo della tutela della privacy, ci sono altre caratteristiche che rendono il programmino piuttosto appetibile. Per esempio l’organizzazione “cloud based” dei contenuti, cioè la possibilità di accedervi da qualsiasi dispositivo, anche da Pc. E il fatto di essere open source: le Api, cioè le interfacce di programmazione, e il protocollo sono liberi. Intorno alla creatura dei fratelli Durov possono quindi fioccare altre applicazioni. In effetti già ne esistono di non ufficiali per Windows, Windows Phone, Mac e Linux. Dulcis in fundo, l’app è gratuita e dà la possibilità di inviare contenuti di qualsiasidimensione a chat di gruppo, anche segrete, fino a 200 contatti. 


“Ci aspettavamo un milione di nuove registrazioni al giorno  –  si leggeva nei giorni scorsi sul profilo Twitter ufficiale dell’app  –  5 milioni è qualcosa di folle. Francamente, avremmo preferito avere una crescita graduale. Il nostro piano era quello di essere pronti per questo genere di esplosione nel giro di un paio di mesi, non ora”. E invece, come sempre succede negli equilibri mobile, sono stati gli utenti  –  ormai dipendenti dalle chat quasi più che dai social network  –  a decidere che il momento giusto per decollare era proprio questo. Quando WhatsApp è appena finita nelle fauci dell’ex énfant prodige di Harvard per la mostruosa cifra di 19 miliardi di dollari e le persone hanno cominciato a chiedersi se non fosse possibile cautelarsi dalla potenziale intrusione della lunga mano di Facebook in oltre 450 milioni di rubriche telefoniche. Nel giro di pochi giorni sono saltate fuori petizioni online, proteste e catene di sant’Antonio sull’applicazione, alcune popolate anche di notizie di pura fantasia. Insomma, un certo panico collettivo di cui Telegram  –  ma c’è da scommettere anche Snapchat, Peek, Backchat e simili, come sta avvenendo per la svizzera Threema, che però si paga  –  sta beneficiando a piene mani. D’altronde i segnali si erano visti già lo scorso 21 febbraio: 800mila nuovi utenti appena firmato il patto più ricco della Silicon Valley. La spavalderia dei fratelli fondatori, che hanno addirittura lanciato una specie di sfida agli hacker, invitandoli a violare le proprie conversazioni, ha fatto il resto. 

Lanciata lo scorso agosto per iPhone e a ottobre per Android, Telegram è in realtà gestita da un team di base a Berlino. Tenersi a debita distanza dall’ombra del Cremlino è sempre stata una preoccupazione dei fratelli Durov. Anche per il nuovo programma, come per Vkontakte, l’app preferisce affittare spazio e servizi in data center e server in giro per il mondo, da Londra a San Francisco passando per Helsinki e Singapore. Anche dal punto di vista dei soldi, la coppia non vuole correre rischi: il principale finanziatore è infatti proprio Pavel Durov, che ha versato una generosa ma non meglio quantificata donazione tramite il suo nuovo progetto Digital Fortress. “Telegram non è pensato per produrre profitti  –  si legge sul sito dell’app  –  non venderà mai pubblicità e non accetterà mai investimenti esterni. Non è in vendita. Non stiamo costruendo un database ma un programma di messaggistica per le persone”. Come è evidente anche dai toni delle comunicazioni, l’approccio è totalmente diverso rispetto al più grande concorrente a stelle e strisce. I fondatori vogliono che il telegramma a prova di spione rimanga una sorta di iniziativa no-profit, anche per evitare  –  come avevano raccontato tempo fa a TechCrunch  –  grane legali e commerciali. Dovessero servire altri fondi, potrebbero arrivare da donazioni o servizi in-app come un numero telefonico virtuale.

[Fonte: Repubblica.it]

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Dottore in Comunicazione & Marketing Pubblicitario, Blogger, Content creator e fondatore di iTechMania (Sito e Canale Youtube). Da sempre appassionato di Tecnologia.